In morte del fratello Giovanni
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge i miei tetti saluto,
sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
allora al petto della madre mesta.
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In crampo del polpaccio sinistro
Un dì, s’io non andrò sempre correndo
fra gente e gente, me vedrai spossato
assiso sulla pietra, o amico mio, gemendo
il fior del mio polpaccio andato.
La corsa tutta, il dì tardo traendo,
cerca di me con il giudice muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge l'arrivo saluto,
sento gli avversi Numi, e le secrete
strade che al correr mio furon tempesta,
e prego anch’io in quel porto quiete.
Questo di tanta speme ora mi resta!
Keniane genti, il pettorale mio rendete
allora al clemente cronometrista.
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