La vendita delle indulgenze
Mia zia Dina compie ottant'anni quest'anno. Guida ancora, con una certa disinvoltura, la sua vecchia Y10 rossa, ma solo in prima e seconda, perché in terza "la va massa forte". Nubile, altruista, sempre disponibile, non è mai stata una campionessa in cucina. A parte per il tiramisu.
Sul tiramisu della zia Dina non c'è storia. Il tiramisu della zia Dina è stato l'elemento aggregante della nostra famiglia, il tabernacolo attorno cui noi nipoti ci siamo radunati alla domenica pomeriggio per anni, durante la nostra infanzia e adolescenza. Era semplicemente sublime, con il contrasto tra il dolce della crema e l'amaro del cacao. Ho buoni motivi per credere che mia moglie mi abbia sposato per poterne ogni tanto mangiare qualche cucchiaio. Poi gli anni sono passati, mia zia è invecchiata e il tiramisu è diventato una vera rarità. Mancava da anni. Fino a domenica scorsa.
Mia zia Dina si è presentata a casa mia verso le cinque, con il tupperware quello grande, quello col coperchio rosso. Io ero arrivato a casa da poco, appena il tempo di fare una doccia e cambiarmi. Mi stava passando proprio allora la nausea dovuta all'eccessivo sforzo profuso durante la maratona e iniziava a venirmi fame. La fame dopo la maratona, quella incalzante, tempestosa, incontrollabile. Disinibita anche, perché dopo una maratona corsa con fatica, tutto è permesso, anche il tiramisu. Soprattutto se è quello della zia Dina. Da mangiare col cucchiaino piccolo, per cesellare i sapori fino alla fine, cioè fin quando è finito.
Questa è la vera funzione della maratona: assolverti preventivamente dai peccati.
Stefano Bressan
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