L'Effetto Troisi applicato al podismo
A volte ho l'impressione che le mie considerazioni in materia di statistica applicata alla maratona non riscuotano un grande interesse tra i podisti... ma è solo un attimo, so bene che tale eventualità non è nemmeno concepibile.
L'analisi di oggi riguarda un fenomeno controverso ma di indubbio interesse, che potremmo chiamare "Effetto Troisi". Lo trovate magistralmente illustrato in numerosi spezzoni del film "Ricomincio da tre" disponibili su Internet. In sostanza: un nome breve consentirebbe un maggior controllo educativo nei confronti di un bambino, portando ad una maggiore disciplina e senso di responsabilità. Ciò vale per le varie "agenzie di controllo" che forgiano le personalità, come la madre nella divertente esemplificazione di Troisi, ma anche per allenatori, educatori, preparatori atletici.
Disciplina e senso di responsabilità, intesa come capacità di mantenere gli impegni presi e di perseverare, sono innegabilmente qualità essenziali per un maratoneta. È ipotizzabile allora che esista una correlazione tra la lunghezza del nome ed il rendimento in maratona? Dovremmo aspettarci che ad un nome più breve corrisponda, mediamente, un tempo migliore?
Prendiamo i risultati dell'ultima maratona di New York e vediamo.
Qui è riportato il grafico che illustra la relazione tra lunghezza complessiva del nome (nome più cognome) e tempo sulla maratona:
Non sembra esserci nessuna particolare relazione a parte un po' di rumore nel finale. Mi spiace per Troisi, ipotesi scartata.
Poi però mi è venuto in mente che l'Effetto Troisi dovrebbe riguardare più correttamente il solo nome dell'atleta, e non il cognome. Così ho ricalcolato il grafico in funzione del solo nome di battesimo. I risultati sono questi:
È innegabile: appare chiaramente una relazione diretta tra la lunghezza del nome ed il tempo medio sulla maratona: chi ha un nome più lungo va, mediamente, più lento. "Ugo" è veramente più forte di "Massimiliano", verosimilmente per una maggiore capacità di autocontrollo e disciplina inculcata in tenera età.
Non voglio ora enfatizzare eccessivamente questo risultato, che merita ulteriori approfondimenti, tuttavia alcune conseguenze dovrebbero essere palesi:
1. I metodi di allenamento dovrebbero essere rivisti tenendo conto di questo fattore psicologico. Trabucchi e Speciani individuano per esempio varie "debolezze" psicologiche degli atleti che ne pregiudicano i risultati (cfr. "Mente e maratona", edizioni Correre, 2003). L'individuazione di tali debolezze dovrebbe tener conto, se non basarsi, anche di questo elemento, ossia sulla lunghezza del nome;
2. Atleti dai nomi lunghi (ad esempio "Giovanni") dovrebbero essere indirizzati verso discipline più orientate alla velocità, come i 200 metri, dove l'Effetto Troisi è verosimilmente meno determinante (auspico in tal senso, comunque, gli opportuni approfondimenti);
3. Le griglie di partenza nelle gare dovrebebro essere costituite, in mancanza di reali elementi oggettivi sulle prestazioni (sempre comunque abbastanza esposti a opinabili), sulla base della lunghezza del nome. Ciò consentirebbe, statisticamente, un migliore e più uniforme deflusso degli atleti.
Ringraziamenti - Si ringrazia Alberto Passetti per aver autorizzato la riproduzione di queste sue divertenti statistiche.