Correre a piedi nudi
Due note sulla tecnica di corsa a piedi nudi, o con calzature minimaliste, che conosco come corretta. In sintesi brutale: si atterra con l'avampiede, non di tallone. Stando scalzi viene abbastanza naturale. Cos'è, allora che bisogna capire e imparare con molta gradualità? Diverse cose.
Primo, la falcata è molto più corta: il punto più avanzato del piede non dovrebbe mai andare più avanti del baricentro del corpo. Questo porta anche a frequenze di passo maggiori, ovviamente e, per accelerare, la falcata si stende verso dietro - arrivare a toccare i glutei con i talloni è facile come da ragazzini, se si sprinta (una volta impratichiti almeno un po'!)
Secondo, l'avampiede, la caviglia, lo stinco, i polpacci devono imparare a scendere al suolo rilassati: solo così il sistema di ammortizzazione naturale formato da piede e caviglia può funzionare per bene. Il piede (se nudo, altrimenti molto meno) automaticamente regola l'ammortizzazione sentendo con che tipo di terreno ha a che fare. Non è meno sensibile delle mani, in questo, è dimostrato. Se rigido, non abituato a ciò, deve andarci piano.
Terzo, la postura viene a trovarsi molto più dritta, se ci si sente a disagio, piegare ancora un poco le ginocchia può essere utile.
Una volta messe insieme le varie cose (andando piano, molto piano) la sensazione di procedere in avanti senza sforzo affiora, ed è molto bella.
La cosa più difficile, e dove bisogna fare più attenzione, è nell'avere piedi e caviglie rilassati. Non ci riescono subito perché non sono abituati: anni di scarpe di qualunque tipo li hanno disabituati ai loro movimenti naturali. È una sorta di rieducazione, mettiamola così. Ci vuole tempo, molto. Si può fare anche come esercizio in parallelo al correre calzati, perché no. Così si ha la misura di miglioramenti, adattamenti e altre variazioni.
Ognuno è diverso, però: dopo due settimane non potevo già più correre con le mie scarpe (mi facevano male dappertutto, prima mi erano morbidissime), e quindi sorridevo all'idea comune che dice: ci vogliono almeno sei mesi. Ho accelerato i tempi, e sono arrivati i dolori!
Sul fatto dello schifo a calpestare chissà cosa, del timore di farsi male, dell'igiene a rischio, di quelli che ti guardano... son tutte cose personali, non le discuto. Personalmente ne ho superate diverse di queste, mi andava di farlo, ci ho provato, è andata.
Traumi: con le scarpe lavora la scarpa. Scalzi o con scarpa leggerissima che fa lavorare il piede per bene (le flat funzionano perfettamente allo scopo!) lavora il piede, la caviglia, se non atterri col tallone ma usi la gravità stando col piede sotto al baricentro - mai oltre - diminuisci di un bel po' l'impatto di x volte il peso del tuo corpo sul terreno, con ringraziamenti anche di bacino e schiena tutta.
Ci sono poi domande che spesso mi fanno:
"Vuoi vedere che i produttori di scarpe ci hanno fregato per anni?"
Negli Stati Uniti i produttori cominciano a reagire ad una "moda" che comincia a dar loro fastidio. Chi diventa isterico, chi cerca di far capire che ha capito la necessità, chi nega, chi dice ok tutto ma noi facciamo comunque scarpe buone... Il successo delle Five Fingers, negli Stati Uniti pare travolgente, ha toccato probabilmente dei portafogli sensibili. C'è poi da dire che dai primi anni settanta (introduzione delle scarpe ammortizzate su vasta scala per il boom del podismo amatoriale) gli infortuni dei podisti sono rimasti sempre gli stessi come numero (tantissimi), ma ogni anno siamo coperti di promesse di prestazioni e sicurezza per le nostre giunture - promesse mai, da nessun produttore, suffragate da uno straccio di prova dimostrabile (io almeno non ne ho mai viste, l'opinione è molto diffusa nonché sostenuta da libri molto noti come "Born to run" di Christopher McDougall e mai smentita).
"A me sembra che il problema si possa impostare come: la perdita di flessibilità del piede è un prezzo che vale la pena di pagare per avere maggiore ammortizzazione di quella naturale?"
Dipende, son scelte personali. Bisogna anche vedere da dove parti, perché e cosa trovi lungo questa strada. Io ho guadagnato rotondità di pedalata in bici, nuoto molto più dritto e ho avuto paura di andare incontro a problemi grossi solo quando mi sembrava che mi svitassero il bacino da dentro - mi è successo un paio di notti, a letto. Aggiungo che non sento quasi più il bisogno di fare stretching, che prima era la cosa che mi teneva in piedi. Sto in ciabattine da novembre, e corro in montagna due, tre ore con flat generalmente ritenute improponibili per uno che supera i novanta chili (con lo zaino!). Piedi a posto, schiena ok. Prima no. Mi viene da dire che "l'ammortizzazione naturale" sia migliore - lo è per me.
"Ci sono soluzioni di compromesso?"
Hai voglia! Rafforzare i piedi con gli esercizi classici (le "andature"), capire qualche volta com'è il proprio passo a piedi nudi in pista e poi usare scarpe più leggere, eliminare i tacchi da ogni scarpa... E non sono "compromessi", ognuno cerca la sua via.
"Si può ovviare alla "costrizione" alla quale il piede è sottoposto chiuso nella scarpa tradizionale con attività complementari a piedi nudi (ho visto qualche volta dei ragazzi in pista che lo facevano) o ginnastica specifica?"
Vedi sopra. I piedi che vengono "usati" hanno tutto un altro aspetto.
Come link di partenza, ecco l'ultimo arrivato... Ma quello che ha fatto più scalpore. È una ricerca fatta dall'università di Harvard, pubblicata a febbraio su "Nature", che conferma punto per punto quelle che prima erano ritenute delle follie di simpatici bagonghi: www.barefootrunning.fas.harvard.edu.
Non solo da qui le reazioni delle case produttrici hanno cominciato ad agitarsi un po': la notorietà maggiore al movimento l'ha data un libro che ho menzionato poco sopra, "Born to run", scritto da Christopher McDougall. Qui una scheda: www.ibs.it/ame/book/9780307266309/mcdougall-christopher/born-run.html.
Buone corse, calzati o no!
Ringraziamenti - Si ringrazia Mauro Mongarli per aver autorizzato la riproduzione di questo articolo.