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New York! New York!

I piloni del Ponte da Verrazzano si stagliano nel cielo quasi limpido, solcato da nubi che corrono spinte da vento forte. L'avventura sta per cominciare. La voglia di correre era nata tre anni fa, proprio leggendo un articolo sulla maratona di New York, la sua storia, i suoi numeri, il suo fascino. Poi i primi allenamenti, le prime gare, le prime maratone italiane. Ed ora eccomi qui in mezzo a migliaia e migliaia di podisti provenienti da tutto il mondo. Difficile pensare come la macchina della gara possa mettersi in movimento guardando tutta questa confusione.

Molto teso, ma con tanto entusiasmo dentro, mi avvio verso la mia corsia di partenza. Gli altoparlanti diffondono un brano della colonna sonora del film "Rocky", poi l'inno nazionale americano. Volano le maglie pesanti indossate fino all'ultimo minuto per non raffreddarsi. Ore 10,50: finalmente il colpo di cannone. L'immensa folla di maratoneti si mette in marcia, salendo le rampe del grande ponte. Dopo circa due minuti comincio a correre ed affronto la prima salita del percorso che conduce alla sommità del ponte, circa duecento metri di dislivello. Il vento che proviene dalla baia ci sferza sempre più forte, sembra che voglia strappare i pettorali tanto faticosamente conquistati. Cerco di ignorare il freddo intenso ed inizio la discesa che ci porta verso Brooklyn: qui il vento si calma un po', il sole ci riscalda e si cominciano ad udire le prime incitazioni dalla folla, le prime note musicali.

Brooklyn ci accoglie veramente con tanto calore. Rimango stupito dal gran numero di bandiere tricolori, poi mi accorgo che si tratta di bandiere messicane. Ho preso il ritmo e la tensione pre-gara si è allentata. Mentre corro il pensiero va ai compagni di maratona che sono rimasti in Italia e che ora sicuramente staranno guardando le riprese televisive, naturalmente centrate sui candidati alla vittoria: è la prima maratona che corro da solo e questo mi preoccupa un po'. La strada in lieve discesa in questo tratto mi permette di osservare il lungo e compatto nastro bianco di corridori; bianco perché questo è il colore prevalente delle tante maglie e dei tanti cappellini.

Ai venti chilometri comincia la salita verso il Pulaski Bridge alla cui sommità si trova il traguardo della mezza maratona. Da questo ponte, che segna il confine fra Brooklyn ed il Queens, il panorama è veramente straordinario: i grattacieli che si affacciano sull'East River si stagliano contro il cielo azzurro, inconfondibile profilo di Manhattan!

La seconda parte della gara sarà sicuramente più dura, ma non mi preoccupo e, sempre più pieno di entusiasmo, scendo il ponte verso i viali alberati del Queens e mi preparo per la salita più difficile della corsa: il ponte della 59a Street che ci conduce dentro il cuore di Manhattan. Si tratta di altri duecento metri di dislivello circa, seguiti da una lunga discesa al termine della quale la corsa prosegue lungo la grande First Avenue, sempre fra due ali di folla che ci incita. La First Avenue sembra interminabile, la fatica comincia a farsi sentire, ma l'entusiasmo della folla è un propellente eccezionale. Siamo al mitico muro delle venti miglia (trentadue chilometri): percorrendo il Willis Avenue Bridge lasciamo Manhattan ed entriamo nella parte meridionale del Bronx: bande musicali, musica rock assordante ed ancora tanto calore umano.

Rientriamo a Manhattan attraverso il Madison Avenue Bridge. Il freddo ed il vento che si fanno sempre più pungenti e qualche dolore addominale mi causano un momento di sconforto, ma cerco di rimanere calmo: posso farcela! Finalmente distinguo gli alberi dell'estremità settentrionale di Central Park, i numeri delle Street decrescono. Eccomi in Central Park con i suoi meravigliosi colori autunnali. Supero il Metropolitan Museum mentre la fatica cresce, ma penso a tutti i faticosi allenamenti, spesso dopo una dura giornata di lavoro, fatti per arrivare fino a qui. Venticinque miglia. La folla è incredibile: sembra che tutti ti incitino a non mollare e a raggiungere il traguardo. Siamo lungo Central Park South e vedo ormai davanti a me la statua di Cristoforo Colombo in Columbus Circle. Travolto dall'entusiasmo della gente, comincio a gridare anche io "Forza, forza, forza!". Rientro nel parco per affrontare l'ultima breve salita prima del traguardo: ed ecco l'orologio digitale che segna il tempo ufficiale, e la finish line. Alzo le braccia, è fatta: tempo effettivo 3:44.29. Sento la gola che si stringe e gli occhi che si inumidiscono per la gioia mentre mi mettono la grande medaglia al collo e la famosa coperta argentata sulle spalle.

Mi avvio lentamente verso la zona di ritiro delle borse (quasi un chilometro ancora) e penso a Rita, mia moglie, che è rimasta a casa e che voglio ringraziare per avermi incitato in questa impresa, per non aver mai dubitato della mia possibilità di farcela e per aver sopportato sempre pazientemente i miei allenamenti. Dopo questa grande ed esaltante esperienza, auguro a tutti i maratoneti che amano veramente questo sport di poter correre almeno una volta a New York e spero personalmente di poter ripetere l'avventura, magari, la prossima volta. con i compagni di tante corse.


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