La maratona è anche questo
Passata l'euforia del momento, con pacatezza e riflessione, si può parlare dell'evento kolossal trattando di gesta umane di "comuni podisti mortali". La "New York City marathon" rappresenta per ogni podista un obiettivo fondamentale da centrare, secondo ovviamente le possibilità di ognuno, vuoi per stimoli propri o per sollecitazioni esterne.
Il signor G. S. da Pizzolungo (Trapani) al pari di migliaia di italiani affrontò l'ultima avventura newyorkese senza grosse ambizioni agonistiche ma con il preciso intento di portarla a termine e poter dire "C'ero anch'io". Il piacere di simili avvenimenti sta nel rivedere o rivivere, a distanza di tempo, immagini e sensazioni della trasferta attraverso foto, filmati, souvenir, gadget, classifiche ed attestati.
Orbene, la cosa drammatica per G. S. è proprio quella di non poter esibire nessuna classifica con il proprio nome e, cosa trascurabile, il tempo impiegato. Se l'accaduto fosse capitato a gente che conosco (tipo il sottoscritto) l'avvenimento avrebbe rappresentato una tragedia. Il nostro invece, mantenendo fede alla proverbiale flemma del popolo siculo, la prese con molta filosofia, trasmettendo buonumore nel raccontare, ai compagni d'avventura, ciò che gli impedì di terminare ufficialmente la gara.
Certo che la ferrea organization della "New York City Marathon" è stata più che regolare nel non classificamento dell'eroico G. S., ma... ascoltate i fatti.
L'atleta accusava ancor prima di partire dall'Italia un indolenzimento al polpaccio. Ma alla maratona di New York si va e si partecipa comunque, anche se non si è in perfette condizioni. Il giorno della gara la lunga attesa nel prato con migliaia di podisti, il clima, la temperatura, la partenza, la folla, tutto concorreva al meglio e il dolore al polpaccio era inavvertibile. Fatti però trentacinque chilometri il dolore divenne acuto e G. S., vedendo lungo il tragitto sostare diverse ambulanze, pensò di chiedere ausilio ad una di esse per un "massaggino d'assestamento". Egli non sapeva che questi mezzi di soccorso avevano l'ordine tassativo di trasportare gli "acciaccati" al più vicino ospedale.
Al primo accenno di soccorso fu imbrigliato in una barella e caricato nell'ambulanza che partì a sirene spiegate. Il nostro sbraitava, supplicava, implorava di lasciarlo andare così com'era, ma "non spiaccicava una parola d'inglese". Fu scaricato in un ospedale ad un punto di soccorso dove fortunatamente trovò una dottoressa italo-americana che, dopo qualche sommaria cura e comprendendo il suo dramma, gli cacciò in tasca dieci dollari e lo accompagnò all'uscita dell'ospedale. Lo caricò su un taxi commissionando al conducente di riportarlo il più vicino possibile al percorso della maratona.
Fu fatto! Ma immaginate che cosa ardua sia stata rientrare nel percorso della gara, nei pressi dell'arrivo, con la ferrea organization? Il nostro non trovò di meglio che rientrare trotterellando in Central Park portandosi all'arrivo ma... dalla parte opposta con l'ovvio risultato di non essere classificato.
Ecco la testimonianza ed il perché Gianni, pur non essendo inserito nella classifica ufficiale, ha comunque partecipato alla "New York City marathon".