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Stramilano

"Correre è più che vincere una corsa, più che raggiungere la forma,
più che gareggiare ed allenarsi per divertimento"
Joe Henderson, editore di "Runner's World"

"Stramilano", non era necessario aggiungere altro. Il nome diceva tutto. "Stramilano" era stato coniato dagli amici del Gruppo Alpinistico Fior di Roccia di Milano, amici innamorati della montagna, amici innamorati della natura, amici che, nel lontano 1972, hanno avuto la pazza idea di inventare una corsa podistica di ventidue chilometri, attraverso il centro di Milano. L'idea, che agli inizi sembrava molto stramba, è stata poi copiata da altre città, fino a diffondersi a macchia d'olio. Per quei tempi è stata una rottura con il costume dell'epoca. Forse nessuno ricorda che le prime due edizioni sono state corse di sera, al buio, probabilmente per un senso di vergogna, allora ben presente, al solo pensiero di uscire di casa per andare a correre e poi... c'era da fare i conti con il pubblico dileggio!

Da quando ho iniziato a correre, ho sempre letto con trepidazione ogni articolo, ogni brano, ogni racconto, ogni poesia che parlasse della "Stramilano". Ero come un bambino che leggeva e rileggeva la sua favola preferita e ad ogni lettura immaginava nuovi scenari.

"Stramilano" voleva dire correre in cinquantamila,

"Stramilano" voleva dire sudare in cinquantamila,

"Stramilano" voleva dire la città è nostra,

"Stramilano" voleva dire una giornata in allegria,

"Stramilano" voleva dire una gioia moltiplicata per cinquantamila,

"Stramilano" voleva dire un'emozione indimenticabile!

Come un bambino che aspetta di diventare grande per realizzare i suoi sogni, anch'io ho aspettato qualche anno prima di tuffarmi nella "Stramilano". Ho aspettato che crescesse dentro di me l'amore per la corsa, ho aspettato il momento che mi avrebbe permesso di vivere la "Stramilano" come un evento, come una cosa straordinaria, come una esperienza di vita da vivere e da conservare gelosamente.

Sono arrivato a Milano in modo insolito, insieme con alcuni amici conosciuti a Padova, al campo dell'atletica, nel periodo degli studi universitari. Erano atleti di buon livello che frequentavano le piste e le strade delle gare nazionali, atleti che avevo portato a correre in Romagna nelle podistiche locali, suscitando qualche malumore nei galletti di provincia che spesso avevano dovuto inchinarsi a loro.

Ricordo il viaggio sul pulmino, messo a disposizione dall'Atala Sport, insieme a Bonan, umile e tenace montanaro di Belluno dal fisico forte e compatto; a Carraro, mezzofondista in giacca e cravatta, sempre elegante, in corsa come nella vita privata; a Penzo, postino di Chioggia, la reincarnazione vivente di Gesù Cristo appena sceso dalla croce, specialista delle corse sulla battigia, vincitore di una "Rimini/Riccione/Rimini".

A quei tempi gli sponsor cominciavano ad avvicinarsi timidamente all'atletica. L'atletica leggera era la regina delle discipline olimpiche e lo sport aveva ancora uno statuto dilettantesco. Era l'epoca dei rimborsi spese per i viaggi sostenuti e di qualche spicciolo o premio in natura. Viaggiare su un pulmino pieno di scritte pubblicitarie sapeva ancora di eresia.

Mi sono presentato in piazza Duomo con due ore di anticipo ma ero già in ritardo! I più mattinieri o forse i più competitivi erano già appostati sin dalle prime luci dell'alba per prendere i primi posti e non erano molto disponibili a dividerli con altri. L'agonismo era entrato con forza nella "Stramilano" degli amatori, degli appassionati podisti, dei semplici camminatori, nonostante fosse organizzata la gara riservata agli atleti che vogliono darsi battaglia.

Con tutta sincerità, devo dire che non essendo in possesso dei tempi richiesti per correre con gli agonisti, ci tenevo pur sempre a fare un buon tempo ed a raggiungere un dignitoso piazzamento tra la massa dei cinquantamila, ma non ero disposto a sgomitare per realizzare il mio desiderio. Mai avrei tradito lo spirito della manifestazione. Quello spirito era sacro!

Ricordo che eravamo assiepati come sardine e, nonostante l'impegno del servizio d'ordine, abbiamo anticipato la partenza di una buona mezz'ora. Ho iniziato subito a correre e, dopo qualche chilometro, complice il caldo, mi sono liberato di una maglietta gettandola in un cestino per i rifiuti. Correre in cinquantamila non mi faceva sentire impunito. Mi sembrava di sporcare la città, di commettere un peccato se l'avessi lasciata cadere sull'asfalto.

Correvo a 3.50 al chilometro, i chilometri volavano sotto i miei piedi. I lunghi viali alberati con le case ottocentesche ai lati della strada erano uno scenario stimolante. I milanesi che applaudivano e ci incitavano mi davano forza e vigore. Agli incroci i vigili, con modi decisi e spettacolari, fermavano il traffico per lasciarci passare ed era bello vedere la diligenza dei milanesi ai segnali dei "ghisa", così potevo rimanere concentrato sulla corsa senza preoccuparmi del traffico.

Correre a Milano, è stato il mio primo impatto con la corsa metropolitana. La metropoli, mi sembra tuttora, l'ambiente più stimolante per correre. Per un giorno la vita frenetica, il traffico, lo smog, la nevrosi della vita moderna si fermano e non rimane altro che l'uomo con il suo corpo e il suo cervello, l'uomo e le opere che ha costruito: le strade, i palazzi, i parchi, le opere d'arte. Ai lati della strada la gente sorride, i bambini giocano.

Per un giorno l'uomo è padrone di sé, della propria vita.

Per un giorno Milano respira.

Per un giorno l'uomo e la città sono in armonia.

Per un giorno il mondo non esiste.

Per un giorno.

Sono arrivato all'Arena di Milano con i muscoli induriti dallo sforzo finale ma ebbro di felicità. La "Stramilano" aveva pienamente soddisfatto le mie aspettative, non solo, mi aveva anche proiettato in uno scenario nuovo, uno scenario che mi avrebbe portato verso nuove avventure. Dopo l'arrivo ho raggiunto le gradinate del vecchio stadio, per godermi, insieme alla massa dei cinquantamila, l'arrivo degli atleti d'élite. Tutto lo stadio, in poco tempo si è riempito, mentre lo speaker, con una appassionata cronaca ci informava della battaglia agonistica. Ancora una volta gli etiopi dominavano, nonostante Roble Wolde e Tekle Fentesa fossero due atleti sconosciuti, alla prima esperienza in Europa e non più giovani. Solo il colombiano Victor Mora, atleta giramondo dai lineamenti indios, vincitore più volte della Corrida di San Paolo, cercava di contrastarli, ma inutilmente.

L'arrivo degli agonisti è stato accolto con una ovazione da tutti gli amatori assiepati sulle gradinate.

Loro erano uomini dalle qualità eccezionali.

Loro correvano a 2.50 al chilometro.

Loro strappavano facendo venire il cuore in gola.

Loro correvano rilassati e silenziosi.

Loro erano dei semidei.

Loro erano stati toccati dalle divinità.

Loro ci riempivano il cuore di gioia.

Loro.


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